lunedì 11 gennaio 2010

Recensioni!


Ecco le recensioni degli eventi organizzati da Veni ed Etiamo in collaborazione con Another Green!

Da tempo si sentiva il bisogno di un locale a Mestre che ospitasse proposte musicali inconsuete e sotterranee già sperimentate in villa Franchin.
La serata al Flat, sorto dalle ceneri (qualche anno fa ci fu un incendio) di un basement che ha ospitato altri club storici, come l’Underground e il Metrò, prevede un tris di concerti acustici: in apertura Mattia Coletti, poi Trees of Mint e a chiudere Nancy Elizabeth.
Il primo si muove in solitudine su strutture minimali con l’aiuto di chitarra acustica e ukulele a sostenere un cantato sussurrato e monocorde; vengono in mente certe composizioni scheletriche dei Boduf Songs, o le prime cose di Devendra Banhart, pero’ con meno intuizioni o guizzi geniali.
L’impressione è di avere di fronte una formula ormai trita e rititrita di quel prewarfolk che ormai mostra la corda. Trees of mint alla chitarra elettrica propone invece un set suggestivo coadiuvato dalle proiezioni visionarie di Olak.
Una sorta di post rock più pop o, se vogliamo, una forma canzone alla maniera dei primi Mojave 3 o Sophia in versione post rock.
La cantautrice inglese, che si destreggia tra chitarra acustica, una piccola arpa e pianoforte, sale sul palco accompagnata da altre due musiciste al violoncello, chitarra e percussioni.
Il suo folk trae chiaramente spunti e ispirazione dalla tradizione inglese, ma in alcuni brani si sente l’influenza di cantautrici americane
quali la Joni Mitchell dei primi due dischi e la più recente Alela Diane.
Ciò che colpisce durante il concerto è la sua voce, dall’intonazione perfetta senza sbavature, e l’acuta sensibilità supportata da un talento fuori dal comune nello scrivere canzoni che sembrano già dei classici del folk. Poi tra un brano e l’altro, nel presentarli e nel comunicare con il pubblico, viene fuori il lato più comico, ironico e la simpatia di un’artista che non si confronta con il pubblico attraverso pose e atteggiamneti studiati.
Inevitabile quindi, dopo il bis ottenuto con un lungo applauso, recarsi al banchetto e aquistare l’ultimo cd, farselo autografare in ricordo di una serata speciale.
Massimo Saccarola


Mi innamorai della punca dei Jealousy Party la prima volta che la ascoltai su cd: Now. Poi il resto… Again and again and again.
Ma i JP li devi sentir suonare. Su disco si perde qualcosa di infuocato ma introspettivo. La musica muscolata infatti non ama la postproduzione. È spirito punk in veste free jazz. Beat. A me ricordano i Fugs. Ragazzi, so che pochi sanno chi fossero i Fugs. Eppure i loro spoken words ci aiuterebbero ad obliare l’inglese scolastico e soprattutto la Scuola, quella istituzionale che soffoca. Oh yeah – Fugs! (noto intercalare angloamericano un tantino censurato, per chi non l’avesse compreso). È la voce delle colonie! –Mi hai stufato, ti voglio vedere in faccia- E alzare la voce. E togliermi i glasses e vedere di più. E riprendermi il mio tempo. –I need more time for my dreams to come true. I need time-
Andiamo oltre. Behind the music. C’è l’improvvisazione. L’agitazione. L’autogestione. C’è una collisione di persone. Ci dovrebbe essere la comunità. Ecco. In queste terre venete se si parla di comunità si intende ormai quelle di recupero. Invece si deve recuperare la comunità/città. Siamo noi. Siamo vivi, anche se ci vorrebbero morti.
E so che al concerto, nonostante la calda intimità di un FLAT, alcune persone erano non-curanti ed altre sono rimaste tramortite. People destroy people. Ma c’è chi sta peggio, perché un flat non ce l’ha.
Ci si abitua alla malattia piuttosto che cercare la cura. Yo lo siento. Oh no, let the music play on… I listen. Ascolto. Io sento. Io sono sensibile. I care.
Coltivate l’ignoranza, ma con intelligenza.
Alla salute!
Sara Bonaventura

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